Giovedì 13 marzo 2014 dalle ore 15:30
alle 19:00, la Facoltà di Bioetica all’interno del Master di Bioetica, ha
ospitato un pomeriggio di studio sul tema:
Memoria e Alzheimer, presso l’aula Master dell’Ateneo Regina Apostolorum di
Roma.
L’evento, in collaborazione con il
Gruppo di Neurobioetica (GdN), la Scuola Internazionale di Specializzazione con
la Procedura Immaginativa (S.I.S.P.I.) e con la Brain Awareness Week (BAW)
promossa dalla DANA Foundation, è il terzo
degli eventi BAW romani organizzari dal prof. P. Alberto Carrara, LC. Coordinatore
del Gruppo di Neurobioetica, e dal dottor Alberto Passerini, presidente della
S.I.S.P.I.
Introduzione. L’undici dicembre 2013 i
ministri della Salute del G8 si sono riuniti a Londra per decidere come dare
un’efficace risposta a livello internazionale al problema della demenza, la cui
causa più comune è la malattia di Alzheimer. Il documento redatto alla
conclusione di questo summit riconosce la demenza come una delle maggiori
problematiche legate all’invecchiamento e alla salute mentale, ponendo
l’accento sulle dimensioni numeriche ed economiche della malattia, e sulla
necessità di riconoscere dignità e diritti alle persone con demenza, superando
stigma, paure, pregiudizi, nonchè sulla necessità di fornire supporto ai
familiari, sui quali la malattia del congiunto ha un fortissimo impatto.
PROGRAMMA
Saluto del Magnifico Rettore dell’Ateneo
Regina Apostolorum
Prof. P. Jesús Villagrasa, LC
Saluto del Magnifico Rettore dell’Università Europea di Roma
Prof. P. Luca Maria Gallizia, LC
Proiezione del video di B.Callieri
“La morte della mente”
Introduzione
Gonzalo Miranda (Decano della Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Regina
Apostolorum – Roma)
MEMORIA ED ALZHEIMER: LO STATO DELL’ARTE
Massimo Gandolfini (Medico, neurochirurgo e neuropsichiatra, Primario di
Neurochirurgia e Direttore del Dipartimento di Neuroscienze della Fondazione
Poliambulanza di Brescia – Brescia)
NEUROBIOETICA DELLA MEMORIA UMANA:
ASPETTI ANTROPOLOGICI E FRONTIERE ETICHE
Alberto Carrara (Professore assistente di Antropologia filosofica presso la
Facoltà di Filosofia dell’Ateneo Regina Apostolorum, Coordinatore del Gruppo di
Neurobioetica e
Fellow della Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani – Roma)
CERTEZZE MORALI, RAGIONEVOLEZZA E
MEMORIA:
UNA PROSPETTIVA NEUROETICA
Claudia Navarini (Docente e Ricercatrice di Etica ed Antropologia filosofica
presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Europea di Roma – UER)
PAUSA
MORIRE GIOVANE IL PIU’ TARDI POSSIBILE:
SENESCENZA, DEMENZA, DEPRESSIONE
Alberto Passerini (Psichiatra, Psicoterapeuta, Presidente S.I.S.P.I., Milano
-Roma)
ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO
Riccardo Fesce (Medico, Psicoterapeuta, Comitato Scientifico S.I.S.P.I.,
Milano; Professore Ordinario, Centro di Neuroscienze, Università degli Studi
dell’Insubria)
TESTS E DIAGNOSI DIFFERENZIALE: AREA
AFFETTIVA, COGNITIVA, COMPORTAMENTALE E FUNZIONALE
Manuela De Palma (Psicologa, Psicoterapeuta, Formatore S.I.S.P.I., Milano –
Roma)
GRUPPI DI SUPPORTO CON PAZIENTI AFFETTI
DA ALZHEIMER
Maria Rosa Parini (Psicologa Psicoterapeuta, S.I.S.P.I., Milano)
COUNSELING CON L’ESPERIENZA IMMAGINATIVA
PER FAMILIARI DI PAZIENTI AFFETTI DA MALATTIA DI ALZHEIMER
Flavia Valtorta (Medico Psicoterapeuta; Coordinatore Scientifico S.I.S.P.I.,
Milano; Professore Ordinario e Co-direttore Divisione di Neuroscienze,
Università Vita-Salute San Raffaele, Milano)
CULTURA DELL’ACCOGLIENZA E SOSTEGNO ALLA
FAMIGLIA
Paolo De Angelis (Presidente Fondazione Omnia – Roma)
DISCUSSIONE E DOMANDE DEL PUBBLICO
SINTESI DEGLI INTERVENTI:
MEMORIA ED ALZHEIMER: LO STATO DELL’ARTE
Massimo Gandolfini (Medico, neurochirurgo e
neuropsichiatra, Primario di Neurochirurgia e Direttore del Dipartimento di
Neuroscienze della Fondazione Poliambulanza di Brescia – Brescia).
Le tecniche di neuroimaging e di
neurofisiologia ci stanno aiutando a capire più in profondità il meccanismo
della memoria, in tutte le sue varie articolazioni. Soprattutto negli ultimi
anni, pur nella complessità del tema, la memoria non ci sta più di fronte come
un enigma inestricabile. Sul piano clinico, la patologia “per
eccellenza” del sistema mnesico – la malattia di Alzheimer – può trovare
nuove prospettive di comprensione, pur restando ancora molto (troppo) lontani
da prospettive terapeutiche concrete.
NEUROBIOETICA DELLA MEMORIA UMANA:
ASPETTI ANTROPOLOGICI E FRONTIERE ETICHE
Alberto
Carrara (Professore assistente di Antropologia filosofica presso la Facoltà di
Filosofia dell’Ateneo Regina Apostolorum, Coordinatore del Gruppo di
Neurobioetica e Fellow della Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani –
Roma).
Oscar Wilde soleva definirla come
“il diario che ciascuno di noi porta con sé”. La memoria è una delle
tematiche neurobioetiche contemporanee che più affascinano, sia all’interno
delle ricerche neuroscientifiche sulle sue basi neuro-anatomiche e neuro-fisiologiche,
sia per la soggiacente riflessione filosofica. Come per altre peculiarità umane
come la “coscienza” e la “libertà”, anche la
“memoria” ha una storia antica quanto l’uomo stesso. Oggi, alla luce
di secoli di storia e di ricerca scientifica, grazie alle scoperte e alle
integrazioni che provengono dalle neuroscienze, più che di “memoria”
al singolare, si parla di “memorie” al plurale. Insidiose sono le
patologie neurodegenerative e traumatiche che coinvolgono questa caratteristica
dell’umano e la “neurobioetica della memoria” è la riflessione
filosofica e bioetica relativa agli enormi sviluppi neuroscientifici e
neuro-tecnologici in quest’ambito. Se per un verso, è chiaro che la capacità di
trattenere, archiviare e richiamare alla mente le nostre esperienze, i nostri
vissuti in prima persona, è essenziale alla costituzione e allo sviluppo del
nostro “io” (Self), e perciò alla formazione e al preservarsi della
nostra identità cosciente ed esplicita, dall’altro, ricordi traumatici possono
spesso costituire un ostacolo serio all’esistenza. Una ricerca neuroscientifica
d’avanguardia si spinge oggi sino alla frontiera del rimuovere selettivamente o
ad attenuare alcuni ricordi. I primi risultati cominciano ad arrivare: l’ultima
generazione di farmaci è in grado di rimuovere la paura appresa negli animali.
Possimo assumere la “pillola dell’oblio” a piacimento? È lecito
farlo? Fino a che punto? Quando e per che situazioni la si dovrebbe
prescrivere? Chi lo dovrebbe fare? Come si modificherebbe la nostra identità
personale da tutto ciò? Quanto i ricordi dolorosi e spiacevoli sono parte di
“noi” e ci costituiscono le persone che siamo? Esiste un dovere alla
cosiddetta “memoria collettiva”? Queste sono soltanto alcune delle
questioni neurobioetiche che la ricerca sulla memoria sta suscitando.
CERTEZZE MORALI, RAGIONEVOLEZZA E
MEMORIA: UNA PROSPETTIVA NEUROETICA
Claudia Navarini (Docente e Ricercatrice di Etica ed
Antropologia filosofica presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Europea
di Roma – UER).
Sul principio di ragionevolezza del
comportamento umano si fondano le certezze morali, su cui poggia la gran parte
della nostra esperienza conoscitiva (Aguilar 2003). Tale ragionevolezza si
fonda su legittime aspettative di azione – e di reazione – all’interno delle
interazioni personali, fondate – oltre che sulla percezione di alcuni principi
morali naturali – sulla funzionalità mnemonica sensibile, che contestualizza le
esperienze, offrendo una misura della ragionevolezza nelle circostanze concrete
(Iacono 2011). Quando, come nella malattia di Alzheimer, tale funzione è
compromessa e una vasta parte di aspettative comportamentali ragionevoli si
dissolve, la persona non riesce più a dare né ad avere certezze morali: la
ratio astratta non basta infatti per attivare tali certezze, in quanto esse
debbono necessariamente coniugare il principio etico universale con la
singolarità storica dell’esperienza (Navarini 2013). La persona che “perde
la memoria”, dunque, esprime in senso metempirico ed esistenziale il suo
male profondo attraverso un progressivo distanziamento dalla realtà, e
attraverso una logica distorta, non priva di coerenza interna, ma incapace di
legger correttamente il mondo. Tale condizione di fragilità è densa di
implicazioni bioetiche, e porta alcuni bioeticisti a vedere nella demenza la
perdita stessa dell’umanità in senso pieno, ovvero della dimensione personale.
Tale dimensione, tuttavia, non pare essere necessariamente associata alla
manifestazione di razionalità e/o di ragionevolezza, ma è piuttosto l’esistenza
personale che può produrre, sebbene non necessariamente, manifestazioni come la
ragionevolezza, in dipendenza da determinate condizioni di realizzazione.
MORIRE GIOVANE IL PIU’ TARDI POSSIBILE:
SENESCENZA, DEMENZA, DEPRESSIONE
Alberto Passerini (Psichiatra, Psicoterapeuta,
Presidente S.I.S.P.I., Milano – Roma).
“Morire giovane, il più tardi possibile” è, a nostro avviso,
l’atteggiamento migliore con il quale affrontare l’invecchiamento: processo che
prende avvio già a partire dalla nascita. Nell’attività clinica con
l’Esperienza Immaginativa, nelle consulenze giuridiche e nel pregiudizio del
senso comune si osserva come spesso si possa cadere nell’errore di confondere i
segni di demenza con un altro stato patologico, la depressione che a volte
affligge la persona anziana. Al contrario, entrambe queste condizioni devono
essere differenziate tra loro e dalla fisiologica senescenza: anche al fine di
rispettare il valore etico, umano, della persona, che non può essere mai
ridotta ad un sintomo, ad una malattia o ad una particolare condizione della
vita. Vengono esposti frammenti clinici, trattati secondo il modello
psicodinamico dell’Esperienza Immaginativa, in cui si è potuto differenziare,
ad esempio, uno stato psicorganico da quello depressivo o si è potuto evitare
un’interdizione ad una persona anziana affetta da demenza ma con capacità
residue ancora indenni.
ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO
Riccardo Fesce
(Medico, Psicoterapeuta, Comitato Scientifico S.I.S.P.I., Milano; Professore
Ordinario, Centro di Neuroscienze, Università degli Studi dell’Insubria).
Le moderne conoscenze sulla base
neuronale dei processi di memoria e di apprendimento ci permettono di
comprendere il loro ruolo nell’alimentare l’attività immaginativa. Memoria e
immaginazione, d’altro canto, sono gli strumenti principali nella costruzione
del tempo interiore, il tempo che permette di scrivere e riconoscere la nostra
storia, il nostro essere ed essere stati. Perdite, sconfitte e lutti si
incidono in questa storia come interruzioni dei fili che la percorrono. E se
ogni interruzione è dolorosa, perdere memoria è disagio profondo: la propria
storia spezzata, frammentata. Smarrire il tempo è spaventoso: il
disorientamento del mancato riconoscimento, l’amputazione di pezzi del passato,
la mutilazione del sé. È sofferenza soggettiva per una immagine di sé che si
sbiadisce, una persona, io con la mia storia, che a poco a poco si assottiglia
fino a perdersi. Ed è sofferenza non meno forte per chi sta vicino, per la
graduale perdita della relazione con una persona cara che pare allontanarsi
inesorabilmente nella nebbia. Perdita progressiva, prolungata, estenuante,
lutto da elaborare prima ancora che colpisca. Ma si può provare a ritrovare il
tempo, almeno nell’immaginario, ricucire le smagliature, riannodare i fili
spezzati?
TESTS E DIAGNOSI DIFFERENZIALE: AREA
AFFETTIVA, COGNITIVA, COMPORTAMENTALE E FUNZIONALE
Manuela De
Palma (Psicologa, Psicoterapeuta, Formatore S.I.S.P.I., Milano – Roma).
La valutazione neuropsicologica è un iter diagnostico complesso e articolato
che comporta una valutazione multi-componenziale, considerando l’individuo non
solo secondo una prospettiva neurologica, ma soprattutto psicologica, laddove
stati emotivi e situazioni ambientali influiscono e possono compromettere
notevolmente lo stato di efficienza intellettiva. Gli stati depressivi
determinano inibizione delle funzioni corticali e le situazioni altamente
stressanti o ansiogene compromettono le risorse cognitive. L’approccio
diagnostico praticato presso la S.I.S.P.I. (a Milano e a Roma) non si limita a
quantificare semplicemente il danno causato dalla demenza ma si prefigge di
approfondire la valutazione quantitativa integrandola con dei dati qualitativi
relativi al funzionamento cognitivo, affettivo, comportamentale e funzionale:
con lo scopo di effettuare l’analisi delle capacità residue.
GRUPPI DI SUPPORTO CON PAZIENTI AFFETTI
DA ALZHEIMER
Maria Rosa
Parini (Psicologa Psicoterapeuta, S.I.S.P.I., Milano).
L’anziano affetto da demenza ha bisogno di mantenere il più possibile la
percezione di continuità di Sé. Il processo di disgregazione dell’identità
comporta un’immagine di sé sempre più difettosa, aderente alla perdita reale e
fantasmatica, ad un corpo malato, non abile che necessita di cure ed
assistenza. L’intervento sulla qualità della vita prevede l’analisi di questi
bisogni primari. Viene presentato un Laboratorio Cognitivo-Emozionale basato
sul modello dell’Esperienza Immaginativa, che utilizza la condivisione di
frammenti di ricordi personali, in piccolo gruppo. Lo scopo è sollecitare
funzionalità smarrite e cercare di farle rivivere nella dimensione immaginativa
migliorando, seppur temporaneamente, la qualità della vita percepita dal
paziente. Quando i ricordi si confondono con il reale, infatti, non si tratta
solo di una perdita dell’esame di realtà ma anche di una modalità adattiva
messa in atto per affrontare la perdita, più angosciosa, di parti di sé.
COUNSELING CON L’ESPERIENZA IMMAGINATIVA
PER FAMILIARI DI PAZIENTI AFFETTI DA MALATTIA DI ALZHEIMER
Flavia
Valtorta (Medico Psicoterapeuta; Coordinatore Scientifico S.I.S.P.I., Milano;
Professore Ordinario e Co-direttore Divisione di Neuroscienze, Università
Vita-Salute, San Raffaele di Milano).
Le famiglie sostengono una notevole porzione del carico di cure necessario per
i pazienti affetti da demenza. La cura di un paziente con malattia di Alzheimer
richiede da parte dei familiari un notevole investimento di tempo e di denaro,
e comporta inoltre un pesante carico in termini di stress e di possibile
disagio psicologico. Farsi carico di un congiunto con una malattia grave
comporta infatti cambiamenti organizzativi, ma anche relazionali ed emotivi,
con una modifica del ruolo assunto fino a quel momento da ciascun familiare.
Laddove la malattia vada ad inserirsi in un rapporto già conflittuale, la
relazione può diventare particolarmente difficile. Inoltre, l’accettazione
consapevole della malattia comporta la necessità di elaborare vissuti di
dolore, perdita e abbandono. Per il familiare che si occupa del malato il
Counseling individuale con l’Esperienza Immaginativa può costituire uno spazio
protetto in cui fare chiarezza sui molteplici e contraddittori sentimenti che
caratterizzano la relazione.
CULTURA DELL’ACCOGLIENZA E SOSTEGNO ALLA
FAMIGLIA
Paolo De Angelis (Presidente Fondazione Omnia –
Roma)
L’aumento dei pazienti di Alzheimer
negli ultimi anni ha posto un serio problema alle strutture di accoglienza
socio sanitarie, per la necessità di trovare personale adeguatamente formato
per questa patologia. Ma anche le strutture socio sanitarie, accreditate
secondo schemi ormai datati e superati dall’evoluzione del problema sociale. La
struttura deve saper superare anche il problema del distacco dalla famiglia che
in questo caso, più che in altri, non vuole “abbandonare” il proprio
caro. La natura della patologia pone anche un problema di accoglienza, dove al
centro deve esserci la persona e la sua storia, e non la malattia, tale da
permettergli di godere degli aspetti alberghieri che quelli di una
“triste” struttura socio sanitaria. Gli operatori del settore devono
anche adoperarsi per coadiuvare i parenti dei pazienti in un’azione conoscitiva
della patologia e nel modo di rapportarsi ad essa.